L'artista Migliorini presenta i suoi ultimi lavori e per la prima volta in Brera a Milano nei quali possiamo già scorgere la connotazione di un profondo mutamento sia interiore che tecnico che si è dipanato nel corso degli anni: da una figurazione iniziale a un espressionismo astratto attuale; entrambi molto personali e ricchi di profondità. Le esperienze di vita hanno arricchito quest'artista notevolmente: sia vivendo a Cadaqués in Spagna (Paese di Salvador Dalì..), lontana dal rumore e dal clamore delle grandi città, in solitudine; sia partecipando ad interessanti progetti a sfondo sociale - si vedano l'esperienza collettiva di Parigi e il recente tema dedicato alle “Migrazioni” che tratta l'attualissimo dramma e la relativa emergenza umana che ha dato il titolo a quel progetto - fino a cimentarsi nella poetica della “Memoria”; personalissimo e molto introspettivo. Questo è il tema della mostra meneghina che vuole comunicare l'interiorità dell'artista, quella più segreta e dunque recondita, che scava nel silenzio intrinseco e intimo producendo un paesaggio interiore a sua volta amabilmente espresso sulle tele di Cristina Migliorini. Qualcuno ama affermare che “il destino governa le nostre vite” e la mancanza di colore attribuibile alle recenti opere dell'artista sembra voglia confermare questa momentanea verità. I lavori esposti in Galleria STATUTO13 sono pregni di un potente simbolismo. Ci regalano attimi intensi con “paesaggi dello spirito”, delicati - con possibili riferimenti ai moti dell’anima - e sublimi, in cui la vena lirica ha modo di manifestarsi con accenti delicati e sorprendenti. Compostezza nelle forme e lirismo poetico accompagnano le opere di quest' artista che sembra volerci svelare un codice del tutto personale, contemplativo, fatto di ricordi che vanno ben al di là dell’intento della mimesi naturalistica. La concezione è bidimensionale il colore è usato come massima espressione psicologica, libero, con variazioni che possono essere cupe, con movimenti della pennellata che sono liberi da ogni matrice preimpostata; dunque spontanei, impulsivi e dediti all'introiezione più sincera. Le opere di Cristina Migliorini sono ricche di allegorie, il cui monito nacque molti anni or sono con l'esplicita volontà di superare la pura visione; cercando dunque di trovare delle corrispondenze tra mondo oggettivo e sensazioni soggettive più vicine alla propria spiritualità. Massimiliano Bisazza
A esporre i suoi ultimi lavori è l’artista veneta Cristina Migliorini. Nata in provincia di Vicenza nel 1972, sin da piccola ha coltivato la passione per l’Arte e il disegno. Dopo gli studi universitari a Padova e Trieste, si è trasferita prima in Costa Azzurra, dove ha frequentato l’atelier di uno scultore, e, poi, nel 2001, in Spagna, a Cadaqués, paese natale di Salvador Dalì, e, quindi, a Madrid. Nella capitale spagnola, l’artista ha frequentato corsi di fotografia. Dal 2008 al 2014 ha viaggiato in Argentina e, poi, tornata in Spagna, si è specializzata in grafica e incisione a Barcellona. Del 2009 è stata la sua prima mostra personale, a Madrid, in cui Cristina ha esposto opere figurative, di taglio espressionista, ma con rimandi alla cultura artistica italiana (Michelangelo e il Rinascimento veneto), oltre che ai ricordi della sua infanzia e giovinezza nel Nordest, come le memorie della Vicenza di Palladio e di Scamozzi. Negli anni trascorsi in Catalogna, a Cadaqués, Cristina ha aperto un suo atelier, lavorando su legno e trasformando in senso materico il suo stile, anche grazie alla presenza di un grande parco naturale alle spalle della località sacra a Dalì, in cui ha potuto sperimentare colori, odori e nuovi supporti. Dopo un breve periodo parigino nel 2015, interrotto a causa dei tremendi attentati del 13 novembre, Cristina è di nuovo tornata in Spagna, frequentando un vivace collettivo artistico a Barcellona: qui, l’artista ha partecipato a una grande mostra, intitolata Migracions, dedicata allo scottante e drammatico tema dei migranti e il cui ricavato è stato devoluto ad alcune ONG che si occupano della cura e della tutela di chi scappa da guerre e fame. Successivamente è tornata a Madrid, dove tuttora vive. Gli ultimi lavori di Cristina, intitolati Memorie, sono esposti a Milano e rappresentano un riassunto delle sue attuali ricerche artistiche, sia verso il nero puro di Soulages che, ancor di più, su quello profondo, intimamente realistico, di Caravaggio e dei suoi seguaci spagnoli, in primis Jusepe de Ribera. Il risultato è un trait d’union, un punto d’incontro tra Pittura, fotografia analogica e incisione. Il nero di Cristina non è un colore negativo, ma uno stimolo a cercare dentro noi stessi, alla conquista delle nostre radici e dei nostri ricordi. Non a caso, dal nero dominante, nelle opere di Cristina, emerge sempre un bagliore di luce che è simbolo di speranza, di un nuovo domani. La speranza è, come in Caravaggio, come nei suoi seguaci, da Mattia Preti a Carlo Saraceni, da Bartolomeo Manfredi a Jusepe de Ribera, espressa da quel bagliore di luce, proveniente da fonte ignota, ma che inonda la superficie dipinta superando lo scoglio delle tenebre. Chiaramente, non è la luce di Caravaggio, quella di Cristina, ma, in un certo qual modo, ha a che fare con essa. Il concetto di Memoria emerge profondamente anche nella scelta del supporto, la tavola e non la tela, così come nella composizione a trittico, o in una fascia orizzontale, in frame, simile a un fotogramma cinematografico, ma anche, ancor di più, a una predella di polittico: tutte scelte che riconducono alla prima città che Cristina ebbe modo di vivere, ovvero Vicenza, la Vicenza delle opere di Bartolomeo Montagna, della pala di Giovanni Bellini in Santa Corona, ma anche dei cieli scuri dei Bassano, in cui il bagliore luminoso squarcia il cielo tenebroso a lanciare un segnale di vita. Su questo substrato artistico, Cristina lavora sulla sua esperienza personale, scavando nei suoi ricordi producendo opere che rievocano un arcaico silenzio, quasi ancestrale, da post-Big Bang, che si riverbera su un paesaggio interiore e intimo. Si tratta di opere simboliste, in cui il paesaggio non è un qualcosa che noi possiamo toccare con i nostri occhi, ma che possiamo percepire attraverso collegamenti psicologici, che si trasforma in un paesaggio dell’anima, un luogo di fantasia in cui l’artista esprime la sua interiorità, esattamente come facevano i grandi romantici tedeschi come Friedrich. Gli elementi che uniscono le opere, a parte le fonti d’ispirazione, sono una vena lirica, quasi narrativa, insieme alla compostezza delle forme, che ci conducono in un luogo di fantasia in cui l’artista si immedesima ricordando se stessa e il suo passato. Il tutto si muove su una concezione bidimensionale, in cui il colore assume un taglio quasi psicologico, ma anche impulsivo e primigenio, come se ci si trovasse di fronte alla volontà di rappresentare i propri bisogni e i propri sentimenti, ma anche la propria spiritualità, non in chiave realistica, ma allegorica, superando la pura visione. Stefano Malvicini |